Laura Facchinelli - Arte

Non li hai esposti, quei lavori?

Qualche volta, ma non in modo sistematico. Non mi proponevo di fare la pittrice di professione. Comunque, dopo un po’ di tempo, cambio di rotta sul piano tecnico: dagli scorci sfumati col tocco dei polpastrelli sono passata, infatti, a una resa più aggressiva, a colpi di spatola. Usando la lama di taglio, ho ripreso le stesse case, le stesse colline, lo stesso cielo mediante solchi scanditi verticalmente nella materia-colore. Visivamente quei quadri facevano pensare a un effetto “pioggia”

 

Che significato avevano, per te?

Quei paesaggi a scansione verticale offrivano due punti di vista: quello a distanza ravvicinata, che evidenziava l’accostamento di segmenti di differente colore svelando l’aspetto tecnico della costruzione, e lo sguardo da lontano, che restituiva l’insieme. Restava fermo un dato soggettivo del mio far pittura: l’elaborazione molto controllata. Raramente in pittura, come nella vita, mi sono abbandonata all’impulso: mi sento soddisfatta quando l’immagine è equilibrata, priva di sbilanciamenti.

 

Hai dipinto sempre solo case, in quel modo?

No, anche prati, boschi, arbusti, fiori. Ma quella è stata, in certo modo, una fase intermedia: da quelle righe accostate nasceva infatti la voglia di tralasciare il disegno descrittivo ed esplorare una pura sintassi di puro segno-colore. Così,  alla fine degli anni ’70, sono approdata all’astrazione.

 

Una fase nuova …

Sono partita dai paesaggi a “pioggia” usando sempre la spatola di taglio in senso verticale, ma … togliendo il paesaggio. Ed ecco le sequenze di canne o fili d’erba sovrastate ancora da una sorta di cielo blu, che però compariva come puro esercizio cromatico. Poi, usando la spatola in modo da lisciare il colore in varie direzioni, ho creato tessiture compatte, brune come il terreno oppure vivaci, in chiave fantastica. Intanto mi impegnavo per rendere gli stessi soggetti, reali o astratti, anche graficamente, usando la grafite o l’inchiostro di china. La stesura di un tratteggio ritmato, che era un po’ esibizione virtuosistica, mi dava un senso rassicurante di controllo sulle mie possibilità espressive.

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ESPERIENZE 1970-2000

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